Il Nibbio: Un Thriller Politico Magistrale che Svela Verità Scomode
- Giada Maria Scarfiello
- 31 mar
- Tempo di lettura: 3 min
Ci sono film che intrattengono, film che emozionano e poi ci sono opere come Il Nibbio, capaci di scuotere lo spettatore nel profondo e lasciarlo senza parole. Diretto da Alessandro Tonda, questo thriller politico si impone come un'opera imprescindibile, unendo un'estetica di chiaro stampo americano a una narrazione profondamente italiana, radicata nella nostra storia recente.
Ma Il Nibbio è molto più di un semplice racconto di cronaca: per chi sa leggere tra le righe, il film è una feroce accusa mascherata, un'opera che, pur finanziata dagli Stati Uniti, sembra puntare il dito proprio contro di loro. Il paragone con il caso Aldo Moro è inevitabile: un uomo dello Stato, pronto a muoversi da mediatore in un conflitto che avrebbe cambiato gli equilibri globali, viene brutalmente eliminato. Perché? E, soprattutto, da chi?
Una Storia di Intrighi e Potere
Il film si apre con un'immagine potente: in Nibbio (Nicola Calipari) vola in cielo, scrutando la sua preda. Poi, improvvisamente, è giù pronto ad entrare in azione. È il comportamento del nibbio vero e proprio ma è anche una metafora perfetta per il protagonista, che vediamo a bordo di un aereo militare, intento a precipitare nel cuore dell'azione. Un'introduzione affascinante che poi lascia spazio a un flashback di 28 giorni prima, permettendoci di seguire gli eventi che porteranno alla tragica conclusione.
Il film racconta appunto gli ultimi 28 giorni di vita di Nicola Calipari (interpretato magistralmente da Claudio Santamaria), alto dirigente del SISMI impegnato nella missione per liberare la giornalista Giuliana Sgrena. Calipari è un uomo consapevole della fragilità del suo ruolo e dell’equilibrio instabile in cui si muove l'Italia tra le potenze occidentali. Vuole costruire ponti diplomatici, dialogare con chi di solito viene escluso dai tavoli di trattativa.
Ma la storia ci insegna che l'America non ha mai tollerato un'Italia troppo autonoma nelle decisioni geopolitiche. Il Nibbio viene ucciso, e il film ci suggerisce che la sua morte non è stata un incidente, ma un'esecuzione mascherata da errore.
Simbolismo e Regia: Il Gioco delle Prospettive
Uno degli elementi più potenti del film è la sequenza in cui vediamo un Silvio Berlusconi intento a rassicurare i giornalisti con un tono calmo e fermo, dicendo che finalmente la giornalista sequestrata sarebbe tornata in Italia. Ma il dettaglio è sconcertante: non vediamo mai il suo volto. Lo spettatore lo osserva sempre di spalle, come a suggerire che lui sappia già come andrà a finire, che le sue parole non siano altro che un copione recitato. È un dettaglio registico straordinario, che amplifica il senso di impotenza e di predestinazione.
Il film è disseminato di indizi per lo spettatore attento: battute, dettagli scenografici, riferimenti sottili ma inequivocabili. Chiunque abbia seguito la politica italiana degli ultimi decenni può facilmente leggere tra le righe un’accusa velata ma potentissima.
Un Finale Straziante
Gli ultimi venti minuti del film mettono a dura prova il pubblico. La tensione si fa insostenibile, il peso dell'inevitabile si abbatte su chi guarda. La scena della morte di Calipari è asciutta, priva di eroismi, brutale nella sua verità. La musica, che cresce in maniera drammatica, scompare brutalmente con gli spari che uccideranno il Nibbio, a sottolineare il dramma, solo il rumore del destino che si compie.
Quando le luci si accendono in sala, il silenzio è totale. Non si sente nessuno parlare. Nessuno osa commentare. Perché Il Nibbio è più di un film: è un monito, un promemoria che ciò che è successo allora non è diverso da ciò che accade oggi con il conflitto israelo-palestinese. Il film non lo dice esplicitamente, ma lo suggerisce con una serie di discorsi dell'epoca che risultano incredibilmente attuali.
Un Capolavoro Necessario
Il Nibbio non è solo un grande film: è un’opera che sfida lo spettatore a interrogarsi sul potere, sulle dinamiche internazionali e sui compromessi imposti dalle grandi potenze. È un film che, nonostante il finanziamento americano, sembra lanciare un'accusa potente proprio contro chi ha scritto la storia con il sangue di uomini scomodi.
Un thriller teso, coinvolgente, girato con uno stile che ricorda il miglior cinema americano ma con un’anima profondamente italiana. Un film che non si dimentica e che, una volta finito, lascia dentro una domanda inquietante: se ciò che abbiamo visto è reale - e lo è - quanto siamo al sicuro in un mondo che non tollera la libertà individuale e collettiva?
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