top of page

The Brutalist: ambizione visiva, narrazione fallimentare

The Brutalist, diretto da Brady Corbet, dopo essere stato presentato in anteprima alla Biennale Cinematografica di Venezia 2024, è ora nelle sale. Il film racconta la vita dell'architetto ungherese di origine ebraica László Tóth, interpretato da Adrien Brody, seguendo il suo percorso dalla devastazione della Seconda Guerra Mondiale fino agli Stati Uniti, dove cerca di affermarsi come figura chiave dell'architettura brutalista.


La narrazione, che si estende per oltre tre ore e mezza, si distingue per un tono estremamente melodrammatico, a tratti eccessivo. Concordiamo con il parere di Gianni Canova: non è un film che ci ha convinto. La sceneggiatura affronta momenti cruciali della storia dell'architettura, come la presunta partecipazione di Tóth alla Biennale di Architettura del 1980, ma in modo superficiale e impreciso: in quegli anni, infatti, il brutalismo non aveva alcuna presenza rilevante nella manifestazione. Al contrario, la Biennale di quegli anni si concentrava su temi completamente diversi, come il Postmodernismo e il Regionalismo Critico, movimenti che segnavano un distacco netto dall’austerità del brutalismo. Questa scelta narrativa del film appare quindi poco credibile, o quantomeno forzata.


Adrien Brody offre una performance intensa, ma che richiama molto da vicino il suo ruolo ne Il Pianista, risultando già vista per chi conosce bene la sua filmografia. Se da un lato il suo talento è innegabile, dall’altro il suo personaggio sembra più un accumulo di cliché sul genio tormentato che una vera e propria figura tridimensionale. Lo stesso vale per il resto del cast, dove anche attori di talento faticano a emergere a causa di una scrittura che privilegia l’estetica alla sostanza.


Dal punto di vista visivo, il film si affida a una fotografia scura e cupa, coerente con l’estetica del brutalismo, ma che non rende giustizia a Venezia, immortalata con inquadrature piatte e anonime che non valorizzano minimamente la città. Considerando che il film ha avuto la possibilità di girare in una delle città più cinematografiche al mondo, il risultato visivo è sorprendentemente deludente. Poche inquadrature iconiche, nessun vero senso di spazio e una gestione delle luci che appiattisce gli scenari, anziché esaltarli.


Inoltre, il finale lascia un buco narrativo significativo riguardo al destino del committente di Tóth, suggerendo un possibile suicidio senza però fornirne una chiara risoluzione. Un difetto che si somma a una gestione spesso dispersiva della trama, con salti temporali poco armonizzati e sottotrame abbozzate che finiscono per non avere un reale impatto sulla storia principale.


László Tóth, pur essendo un personaggio fittizio, sembra ispirarsi a figure reali come Ernö Goldfinger e Clorindo Testa. Tuttavia, il film avrebbe potuto approfondire meglio l’impatto storico e culturale del brutalismo. Per un film che si propone di raccontare un'epoca e un'estetica così distintive, la mancanza di un vero approfondimento teorico sull'architettura brutalista appare come un’occasione sprecata. Si parla di cemento e forme geometriche, ma senza mai entrare davvero nel significato culturale e sociale di questo movimento.


In sintesi, The Brutalist è un’opera ambiziosa ma carente sotto molti aspetti. Adesso nei cinema, ma non un titolo imperdibile.

Comments


bottom of page