Woody Allen, La Nevrosi come Stile: L’Arte di Raccontare il Caos con Ironia (e Occhiali Spessi)
- Giada Maria Scarfiello
- 1 giorno fa
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C’è una voce bassa, rapida, incerta. Occhiali spessi, mani agitate, pensieri troppo veloci per essere ordinati. C’è Manhattan, ovviamente. E poi c’è l’ansia, onnipresente, trasformata in scrittura, gag, filosofia da bar. Woody Allen è tutto questo, e molto di più: è un genere a parte, una costellazione di nevrosi artistiche che ha ridefinito il cinema d’autore dal secondo Novecento in poi.
Con oltre 50 film scritti e diretti (e spesso interpretati), Allen ha costruito un universo narrativo unico, dove si ride delle paure più profonde, si filosofeggia tra un panino e una seduta dallo psicanalista, e l’intelligenza emotiva ha sempre la precedenza sull’azione. In questo articolo, non proveremo a riassumere tutta la sua carriera – impossibile – ma ci addentreremo in tre opere chiave per capire come Woody Allen ha trasformato la fragilità umana in poesia cinematografica.
Annie Hall (1977): La commedia che ha cambiato le regole
"Annie Hall" non è solo il film che ha consacrato Woody Allen come autore vero e proprio (dopo anni di commedie slapstick). È anche, e forse soprattutto, la pellicola che ha cambiato per sempre il modo in cui si raccontano le storie d’amore sullo schermo.
Qui Allen interpreta Alvy Singer, un comico nevrotico che si innamora – e inevitabilmente si disinnamora – di Annie Hall, interpretata da Diane Keaton in una delle performance più iconiche della storia del cinema. Ma ciò che rende il film rivoluzionario non è la trama in sé (una relazione che nasce, cresce e finisce), ma il modo in cui è raccontata: salti temporali, rottura della quarta parete, animazione, inserti metanarrativi, soggettive interiori.
In Annie Hall la narrazione si frammenta come la memoria di chi ricorda una storia d’amore: confusa, idealizzata, piena di "e se", di dialoghi ripensati dopo, di momenti che tornano a galla quando ormai è troppo tardi. È cinema postmoderno travestito da commedia romantica. E il risultato è una rivoluzione silenziosa, ma potentissima.
Manhattan (1979): Bianco e nero, bellezza e contraddizione
Due anni dopo Annie Hall, Allen firma il suo film più elegante, controverso e malinconico. Manhattan è un atto d’amore – e di perdita – verso una città, verso l’intelligenza, e verso relazioni che non si sanno gestire.
Girato in un sontuoso bianco e nero con lenti panoramiche e musiche di Gershwin, Manhattan è una lettera d’amore visiva, quasi musicale, alla New York degli intellettuali, dei caffè, dei musei e delle crisi esistenziali. Allen interpreta Isaac Davis, scrittore televisivo divorziato, coinvolto in una relazione ambigua con una ragazza di 17 anni (Mariel Hemingway) e attratto da una donna nevrotica ma brillante (Diane Keaton, di nuovo).
Oggi il film è inevitabilmente segnato da discussioni etiche sul tema dell’età e del potere, ma resta un'opera di rara bellezza formale, capace di parlare con delicatezza del nostro bisogno disperato di connessione – anche quando non siamo pronti a sostenerla. La New York di Allen è un luogo mentale prima ancora che geografico: una città dell’anima, in cui la bellezza convive con l’incapacità cronica di essere felici.
Midnight in Paris (2011): La nostalgia come rifugio e trappola
Trent’anni dopo Manhattan, Allen sorprende tutti con un piccolo gioiello europeo: Midnight in Paris, premiato a Cannes e adorato dal pubblico. Il protagonista è Gil (Owen Wilson), uno sceneggiatore americano in vacanza a Parigi con la fidanzata snob. Ogni notte, allo scoccare della mezzanotte, una carrozza d’epoca lo trasporta magicamente nella Parigi degli anni ’20, dove incontra Hemingway, Fitzgerald, Dalí, Gertrude Stein.
Il film è un’ode sognante al passato, ma anche una riflessione disillusa su quanto la nostalgia possa diventare una gabbia. Gil idealizza il passato perché non riesce a vivere il presente. E alla fine capisce che ogni epoca ha i suoi problemi, le sue miserie, le sue bellezze. È il modo in cui la viviamo – e chi scegliamo di avere accanto – a fare la differenza.
Qui Allen si mostra più dolce, meno cinico, più accessibile. Ma sotto la superficie romantica, c’è ancora quella domanda eterna: è più facile fuggire nei sogni o affrontare la realtà? E la risposta, come sempre nei suoi film, non è mai netta.
Una poetica del dubbio
Il cinema di Woody Allen non offre soluzioni. Non dà risposte, ma moltiplica le domande. È un cinema che vive nell’incompiuto, nel contraddittorio, nella tensione tra desiderio e paura. E lo fa con leggerezza, ironia, eleganza.
Che si tratti di nevrosi amorose, di dialoghi taglienti, di jazz o di filosofia, Allen ha creato uno spazio narrativo riconoscibile e unico: un mondo in cui le debolezze non sono difetti da nascondere, ma strumenti per capire la complessità dell’esistere. Ed è proprio in questa fragile lucidità che risiede il suo eterno fascino.
Contro (e dentro) gli pseudo-intellettuali
Una delle figure ricorrenti, forse più odiate ma inevitabilmente familiari nel cinema alleniano, è quella dello pseudo-intellettuale. Professore universitario, critico teatrale, scrittore presuntuoso o aspirante filosofo, è il personaggio che parla troppo, legge tutto, ma non capisce niente – soprattutto se stesso.
Allen li tratteggia con ironia spietata, ma sempre con una punta di autoironia: lo pseudo-intellettuale è infatti anche un alter ego deformato del protagonista stesso, una parte che ogni personaggio cerca di nascondere e che invece si rivela imbarazzantemente visibile. Ne Il dormiglione (1973) un personaggio afferma: “Io credo che le persone dovrebbero accoppiarsi per contratto: se uno vuole fare sesso con una donna, deve prima leggere Moby Dick e scrivere una tesina.” È ridicolo, certo. Ma anche tristemente vero.
Ne Manhattan, Allen sfodera una delle sue battute più celebri: “Odio me stesso, ma è l’unica compagnia che riesco a sopportare.” In quella frase c’è tutto il senso dell’intellettuale nevrotico che sa di non sapere, ma che ha bisogno di fingersi brillante per non crollare. Un’illusione difensiva, forse l’unica che gli resta.
Nel suo cinema, Allen non condanna davvero i suoi intellettuali da salotto: li mette alla berlina, sì, ma sempre con un misto di fastidio e tenerezza. Perché dietro la finta erudizione, spesso c’è solo un disperato bisogno di essere amati. O almeno compresi.
Dove vedere i film citati:
Annie Hall – Disponibile su Apple TV, Google Play Movies, e a noleggio su Amazon Prime Video
Manhattan – Presente su Apple TV, Chili, e altre piattaforme VOD
Midnight in Paris – Disponibile su Netflix, Amazon Prime Video e Now TV
Nota: la disponibilità può cambiare nel tempo e in base alla regione.
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